Marina Corona per Stanza della Donna

Nell’opera di Regina Hübner la stanza della donna è il cosmo. Questa frase semplicissima e tuttavia paradossale esprime la dote peculiare dell’artista, che sa mescolare una sensibilità delicatissima a un potente coraggio della verità.

I dischi delle ultime installazioni, come quella, estremamente suggestiva, intitolata Allein e esposta alla Temple Gallery nel ‘98, sono insieme immagini sia di elementi cosmici sia dell’anima più segreta della Hübner. L’artista infatti, proprio in virtù della fedeltà ad una segretezza estrema, riesce a toccare e poi a riprodurre il volto del cosmo. E’ dunque questo il vero “femminino”? Quello sul quale ai nostri giorni tutto il mondo si va interrogando? E’ la capacità di fedeltà a una zona intatta, tranquilla e pure fortemente vibrante della donna che rivela un volto del mondo finora rimasto inconosciuto?

Il grande disco che è comparso nella Temple Gallery inondato da tre fasci di luce mossi a loro volta da lievi disegni è certo l’immagine dell’anima, anzi è l’anima stessa dell’artista. Eppure esso non coincide, secondo una tradizione che siamo ormai sul punto di abbandonare, con la figura di una luna argentea che transitando svolge il destino monocorde e ciclico della femminilità. La sfumatura di luce arancione dà al disco una corposità solare, non certo violenta ma semplicemente potente, della quieta e inarrivabile potenza della luce. Questa luna-sole solitaria e appassionata apre e chiude sulla parete una zona di ombra delicatissima, quasi trasparente, che sembra muoversi fra le nubi, come fosse un velo: è il velo di Maya, il velo che separa apparenza e realtà, quello che non potrà mai essere del tutto lacerato e che tuttavia all’inizio di ogni nuova epoca, per mano di un artista, si spalanca per noi.

“Il cosmo sono io” dicono ancora gli occhi a volte animaleschi, a volte attoniti, a volte paralizzati, a volte quietamente assorti della Hübner nel video Erinnerungen per Games e lo dicono per primi, lo dicono per ciascuno di noi e sono in fondo i nostri nuovi eterni e selvatici occhi stellari. Quelli che quest’ultima installazione ci chiederà che vengano piano piano spalancati.

 

 

Marina Corona

 

 

Per Stanza della Donna, 1998