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text in italian and german below

Roberto Annecchini

 

Leitmotiv di osmosi

da “Transfer-action”

 

Il comune denominatore che relaziona l’operato di ricerca di alcuni artisti contemporanei, è quella esigenza di emancipazione per un concetto di una avanguardia sperimentale che “vive” il presente.

Focalizzando in una “percezione indagativa” tematiche di un tessuto globale di caratterizzazione etico, politico e sociale; di un sistema dell’arte congruo di risvolti più diversificati che appartengono anche alla vita dell’intimo quotidiano. E all’evento causa di molteplici trasformazioni consequenziali.

Il risultato operativo di Regina Hübner, artista austriaca, oggi si contraddistingue per quella risolutezza e capacità di analisi che origina un processo per un possibile “estraniamento-abstract”. Un isolamento del dato reale dell’ascolto della parola, sezionato e alterato grazie all’utilizzo di istanze culturali Hi-tech; nuovi mezzi tecnologici operativi all’avanguardia.

Questo schematico apparato di ricerca, permette all’artista di confrontarsi con dinamiche del passato “situazioniste e comportamentali”. Come nel caso più eclatante di Marcel Duchamp o della Scuola di Vienna; sia con le esperienze più innovative del contemporaneo presente.

Un “situazionismo processuale e comportamentale” che consente a Regina Hübner di confluire in quel panorama artistico contemporaneo di ricerca sperimentale improntato a ridisegnare il paesaggio culturale delle arti visuali di questo nuovo millennio. Con una particolare predisposizione e interesse verso un’esamina introspettiva di istanze sociopolitiche globali e culture geografiche antropologiche.

Regina Hübner testimonia e verifica una pratica di introspezione oggettiva-reale, che matura da una attenta riflessione ereditata dalla sua formazione culturale mitteleuropea. Una cultura che radica le sue matrici, in un linguaggio che si origina in una forma e contenuto espressionista e simbolista; carico di un forte impulso di tensione sentimentale e post-romantica. Uno “Sturm und Drang” rivisitato ed interpretato secondo le esigenze e le motivazioni culturali del momento storico e sociale contemporaneo.

L’urgenza e la necessità di questa artista europea è quella di evidenziare in un confronto serrato, la “osmosi” tra artificio e verità, invenzione creativa e realtà quotidiana, immaginazione e percezione ottica; con la capacità e la competenza di accreditarsi di valenze tecnologiche. Con implicazioni eventualiste, determinate da una casualità oggettiva abilmente registrata e rielaborata dal mezzo elettronico.

Un esempio significativo di questo “adattamento processuale di alterità”, sono le testimonianze di opere videoinstallative da lei proposte nel corso di questi ultimi anni, come: “Erinnerungen per Games” del 1998, nella versione originale in collaborazione con il compositore italiano Fabio Cifariello Ciardi, presso l’Acquario Romano per il 35° Festival di Nuova Consonanza a Roma; e nella versione solo video-proiettiva, presso il Goethe-Institut Rom, nel 1999, in una rassegna videowork internazionale; “Körper” del 1999 e nella versione videoinstallativa del 2000; “Antworten” del 2001 presso il Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università di Roma “La Sapienza”, in occasione dell’esposizione internazionale “Utilità di sistema” a cura del sottoscritto assieme al critico e teorico Domenico Scudero; “Anonymus dedicated to Vally” del 2001, che rappresenta l’ultimo atto evolutivo più significativo e maturo di tutto il percorso originato dall’artista.

La ricerca progettuale di Regina Hübner, sempre in concreta via di sviluppo evolutivo “in progress”, è maturata costantemente con coerenza sin dai primi risultati manifestati all’inizio degli anni ’90. Sia come artista individuale che in frequenti e più diversificate collaborazioni interattive con artisti visuali, compositori e letterati. Risultando una delle rare individualità che hanno l’interesse, il coraggio, la capacità e l’intuizione di confrontarsi con disponibilità dialettica nell’atto interattivo.

Da un primo approccio più sentimentalistico e autobiografico, legato alla memoria del ricordo personalizzato nel proprio vissuto quotidiano, di cui il “Göttermilch” del 1997 - in occasione della sua personale presso Change – studio d’arte contemporanea a Roma - è l’espressione più completa ed esauriente. Dove il dettaglio e frammento scomposto e dissolto dell’immagine fotografica si fonde nella spazialità delle architetture del luogo, per originare “altro”. Dando vita ad un contesto proiettivo di sobrio assemblaggio di scansioni e sovrapposizioni introspettive, silhouette quasi neo-geo che riabilitano ambientalmente il dissolvimento dell’immagine originaria. Un “Leitmotiv” che le vale l’intuizione anticipata di questa “osmosi di alterità proiettiva”, e che risale al lontano 1991. Anno del suo esordio espositivo romano, in occasione dell’esposizione “In vani comunicanti”, in compagnia del sottoscritto e dell’allora esordiente poetessa Marina Corona.

In questa trasformazione, la Hübner riesce a imprimere con il suo originale aulico e poetico itinerario, un fluire e confluire di sistemi d’azione comunicativi o non comunicativi; una metodologia da “Transfer-action” che rigenera la nuda realtà oggettiva in “qualcosa d’altro”. In uno slittamento linguistico impersonale, che si concretizza nella smaterializzazione e riacquisizione di una nuova altra immagine, originata da un filtro variegato di linguaggi e fattori antagonisti interposti tra di loro. Assorbiti da un intreccio di relazioni tra i più diversificati contesti indagativi delle arti contemporanee.

Una forma quasi di “new existential-realism” scarno e introspettivo, scarnificato e depurato del superfluo, come indicherebbe una minimale visione alla Samuel Beckett.

La veridicità di tale processo e progetto ha consentito di accreditare una credibilità ed una esperienza di lavoro tale da identificare Regina Hübner come una delle individualità di maggiore interesse ed originalità nel panorama artistico contemporaneo e di proporla su scala internazionale alla pari dei suoi colleghi più conosciuti. Esempio sono le partecipazioni alle rassegne internazionali come: “Il camino astratto” del 1999, un videowork a cura di Domenico Scudero per Change – studio d’arte contemporanea, e, successivamente, nel 2000 nella rassegna “viatico [vi’a:tiko]”. Entrambi le proposte espositive presso la prestigiosa A.K. Galerie di Hans Sworowski a Frankfurt am Main, nel 2001 con “Anonymus dedicated to Vally” presso la Elaine L. Jacob Gallery and Community Arts Gallery of the Wayne State University in Detroit, Stati Uniti.

Il lavoro indagativo di Regina Hübner si può codificare in quel settore specifico di arte contemporanea che ha le sue matrici storiche nell’indagine sociale e storica, archivio mnemonico e introspettivo, che ha nell’operato dell’artista francese Christian Boltanski, il suo maggiore esponente di rilievo. Esempio ne sono i cicli di opere come: “Les enfants de Dijon” del ’86 o “Les Ombres” del ’95.

Da questa premessa si può relazionare il lavoro dell’artista austriaca, per successivi atteggiamenti e sconfinamenti linguistici e dialettici, accanto all’operato di artisti contemporanei di differenti contesti, come: nell’ultima produzione videoinstallativa dell’iraniana Sherin Neshat, da “Soliloquy” del 1999 alla più recente proposta presso la Binding-Brauerei di Kassel per Documenta 11 del 2002; con le indagazioni della francese Sophie Calle di “Die Entfernung – The Detechment” del 1996; con l’opera videoinstallativa dello statunitense Gary Hill di “Circular Breathing” del 1999; e concettualmente in contatto più diretto con artisti e cicli operativi, come: “Video Theorie I, II, III, IV” del 1992-’95 della coppia berlinese Dellbrügge e de Moll; “Matter of Fact” del 1995-’98 dell’artista di Köln, Doris Frohnapfel; “Solo Tango” del 2000-2002 dell’artista di Stuttgard, Nathalie Grenzhäuser; “Red shift” del 1998-’99 della londinese Kate Davis; “Luoghi di produzione della cultura” del 1996 dell’italiano Mauro Folci; “Interferenzen….” del 1999 dell’austriaco Joseph Dabernig; con il realismo sociale del cinese Zhou Tiehai; con “Room for Thought” del 2001 e “Wo…. Die Entfernung als ein Modell der Wertschätzung” del 2002, proposte dal sottoscritto a Londra e Frankfurt am Main.

In questo scenario, l’artista ha più volte condiviso con alcuni di essi esposizioni ed esperienze assieme. Ed è voce pregnante in capitolo di questo contesto sicuramente parziale ma indicativo e selezionato, di individualità che confluiscono con dialettica nel sistema artistico-critico, in evolutivo propositivo fermento operativo. Che ha nel suo critico e teorico Domenico Scudero e nella storica dell’arte Patrizia Mania i suoi responsabili di maggior rilievo come referenti critici, a sostegno di questo complice agire di formulazioni di pensiero. Un sistema innovativo che in questi ultimi anni ha contribuito a rendere più visibile uno scenario artistico-critico improntato a registrare e formulare nuove ipotesi di pensiero e di identità. Ristabilendo una coscienza propositiva non parassitaria nel sistema culturale contemporaneo italiano, e interagendo con un processo progettuale di assimilazione della memoria a testimonianza storico-sociale, da documentare nella realtà del presente.

Regina Hübner, quindi, si pone come rappresentativa identità artistica dello scenario romano, dove opera da metà degli anni ’80; uno scenario che annota poche ma importanti realtà internazionali significative. Realtà che si sono contraddistinte per una autoreferenziata autonomia, senza lasciarsi condizionare ed omologare dal tentativo sublimatorio di un facile “ready-made object”, ma motivare da una appassionata ricerca maturata fuori dai circuiti alla moda postmodernista.

Identità che, con perseveranza, continuità e coscienza etica, hanno contribuito e ristabilito il giusto spessore e valore critico ad una progettualità volta a sostenere un pensiero di ritorno per una esigenza avanguardistica di matrice neoconcettuale e comportamentale. Lontana dalle delegittimazioni promiscue e artificiose dei decenni antecedenti, di un sistema formalmente postmodernista e transavanguardista. Sintomi questi ultimi, di un limite retrò anacronistico di maniera. Un nomadismo culturale periferico e turistico, orpello decorativo di una società e di un sistema dell’arte simpatizzante di una cultura postmodernista. Digiuno di un “vivere” un confronto dialettico con analoghe situazioni internazionali.

Regina Hübner è una delle interpreti più convincenti del panorama femminile, sicuramente la voce più matura e promettente dell’area romana delle ultime generazioni, tanto da vantare già numerosi tentativi di imitazione di dubbia qualità. Essendosi fatta notare in non poche occasioni espositive di interesse, come le varie partecipazioni a esposizioni internazionali, come: “Così lontano così vicino” del 1997 con l’installazione “Proiezione Io-Tu” su testo analitico della storica dell’arte tedesca Gabriela Winter; e nel 1999 con l’installazione “Tagebuch-Diario” in collaborazione al sottoscritto, per un confronto dialettico con artisti di area britannica. Entrambe le esposizioni presso Change – studio d’arte contemporanea a Roma. Nel 2000 in “Camera della Donna” con l’installazione “Warum”, presso la Temple University Gallery a Roma. Nel 2001 in “Utilità di sistema” già citata precedentemente, e sempre nello stesso anno in “P.G.S.-Portable group show”. In un itinerario selezionato di artisti internazionali, per inaugurare la nuova sede espositiva di Change – studio d’arte contemporanea. In quell’occasione la Hübner propose l’installazione diaproiettiva “Wohin – Dove”.

L’installazione “Tagebuch – Diario” del 1999 è tutt’ora l’ultimo impegno collaborativo tra me e Regina, prova di una perfezionata sinergia operativa e linguistica, che stabilisce un concreto atto progettuale di un maturato equilibrio dialettico. Dove la coesione dei due artisti determina non più un assemblaggio di sovrapposizioni dei singoli lavori individuali, come nelle esperienze del passato. Ma si caratterizza per quella risolutezza e determinazione, di rendere il contenuto formale e visibile solo un tramite di logica conseguenza riduttiva, nella sua concettualità espressa. In passato i singoli lavori venivano sinteticamente filtrati tra di loro nell’atto interattivo, in un sincronismo minimal-formale. Un esempio di queste primogeniture, dove le singole esperienze si mettevano in gioco in un eclettismo di virtuosismo linguistico, sono alcune interessanti e originali operazioni installative, come: “Con-sequenze” del 1994 effettuata a Torino presso la galleria Nova, assieme all’interazione dell’atto performativo della compositrice giapponese Mayako Kubo. Successivamente l’installazione fu riproposta con alcune modifiche sempre nello stesso anno, nella quattrocentesca restaurata Villa Grazioli, a pochi chilometri da Roma. Ulteriori sviluppi di questa dinamica duale tra me e Regina sono state le proposte presso il locale Alien di Roma, nel 1995, con una installazione ambientale che interagiva con il pubblico; accompagnata da alcuni versi poetici di Pietro Tripodo, e nel 1996, con la collaborazione sincronica in occasione dell’apertura del nuovo spazio romano Change - studio d’arte contemporanea. Uno spazio da me ideato, pensato per promuovere una ricerca sperimentale in via di estinzione in quel preciso momento culturale di istanze tardo postmoderniste. Lo spazio inaugurò proprio con una nostra opera, anticipando gran parte di quella stagione programmativa e di quel processo che si sarebbe succeduto in seguito, in quei locali-laboratorio. Dove sarebbero giunti a breve termine qualificati artisti e critici di varia estrazione e provenienza culturale. Per dar vita a quel progetto innovativo e ancor oggi in atto, di una riappropriazione della dignità della nostra identità artistico-critica. Progetto assorbito e assunto ormai come modello, da vari affannati tentativi di mimesi.

In questo evolversi di fermenti di percorso, il “Leitmotiv di osmosi” di Regina Hübner ci consente di addentrarci nel suo giardino visuale d’ascolto con il suo diramarsi di procedura. Seguendo e sostenendo, con stima e attenzione, quel suo aulico e incisivo essenziale contributo a rendere visibile la conoscenza di questa sua intuizione di genere da “Transfer-action”, espressa con lucidità e determinazione nell’ultimo impegno da lei proposto: “Anonymus dedicated to Vally“; una videoinstallazione già presentata in anteprima negli States ed ora giunta a Roma in occasione della sua ultima prova personale presso il Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università di Roma “La Sapienza“, diretto da Simonetta Lux, ideatrice di questo luogo laico nel quale formazione e creazione artistica si identificano.

Questo “Leitmotiv di osmosi“ si interpone nel tessuto vivo del panorama artistico-critico della ricerca sperimentale delle arti visuali contemporanee, focalizzando un ascolto scarno di un “vivere e agire“ contemporaneo. Reso in una assoluta lirica verista che emana un senso di atemporale spaesamento per un “habitat” che si dilata nella distanza. Senza “dovere” a gratuite citazioni, in un elaborato gradito “enàllage”, motivo di azione di trasformazione.


Roberto Annecchini

 

Leitmotiv der Osmose

durch “Transfer-action”

 

 

Der gemeinsame Nenner, der die Forschungstätigkeit einiger zeitgenössischer Künstler verbindet, ist das Bedürfnis nach Emanzipation, um die Vorstellung von einer experimentellen Avantgarde, die die Gegenwart „lebt“, zu verwirklichen. Indem sie sich durch eine „erforschende Wahrnehmung“ auf Thematiken eines globalen Netzes ethischer, politischer und sozialer Natur und eines Kunstsystems reich an den unterschiedlichsten Aspekten konzentrieren, die auch dem Leben der alltäglichen Intimität und dem Ereignis als Ursache vielfacher aufeinanderfolgender Transformationen angehören.

Das praktische Ergebnis von Regina Hübner, einer österreichischen Künstlerin, hebt sich durch die Entschlossenheit und Fähigkeit zur Analyse ab, die den Prozess einer potenziellen „Entfremdung-abstract“ hervorruft und die Isolierung des geäußerten Wortes, das dank der Verwendung von kulturellen Hi-tech-Einrichtungen, neuen avantgardistischen technologischen Hilfsmitteln, aufgespalten und verändert wird.

Dieser schematische Forschungsapparat ermöglicht der Künstlerin, sich mit Dynamiken der Vergangenheit auseinanderzusetzen; „situations- und verhaltensgebundene“. So wie im aufsehenerregendsten Fall von Marcel Duchamp oder der Wiener Schule bzw. den innovativsten Erfahrungen der zeitgenössischen Gegenwart.

Ein „verfahrens- und verhaltensbedingter Situationismus“, der es erlaubt, zu Regina Hübner zu gelangen, zum künstlerischen Panorama der gegenwärtigen experimentellen Forschung, die darauf gerichtet ist, die kulturelle Landschaft der visuellen Künste des neuen Jahrtausends neu zu entwerfen. Mit einer besonderen Neigung und einem Interesse an einer introspektiven Erforschung von globalen, soziopolitischen Fragen und anthropologischen geografischen Kulturen.

Regina Hübner manifestiert und verifiziert das Verfahren der objektiv-realen Introspektion, die von einer aufmerksamen, aus ihrem mitteleuropäischen kulturellen Bildungsgut stammenden Reflexion herrührt. Eine Kultur, deren Ursprünge in einer Sprache wurzeln, die in einer expressionistischen und symbolistischen Form bzw. Inhalt, mit einem starken Impuls an sentimentaler und post-romantischer Spannung beladen, ihren Anfang nimmt. Eine neue Lesensart und Interpretation des „Sturm und Drang“ gemäß den kulturellen Ansprüchen und Motivationen des historischen und sozialen gegenwärtigen Augenblicks.

Die Dringlichkeit und das Bedürfnis dieser europäischen Künstlerin ist das Hervorheben – durch eine intensive Auseinandersetzung - der „Osmose“ zwischen Kunstfertigkeit und Wahrheit, kreativer Entdeckung und alltäglicher Realität, zwischen Immagination und optischer Wahrnehmung; mit der Fähigkeit und Kompetenz sich durch technologische Werte Glauben zu verschaffen. Eine objektive, geschickt vom elektronischen Hilfsmittel aufgezeichnete und weiterbearbeitete Zufälligkeit determiniert aleatorische Implikationen.

Ein bezeichnendes Beispiel dieser „prozessbedingten Anpassung des Anders-seins“ sind die Zeugnisse der Videoinstallationen, die von ihr im Laufe der letzten Jahre präsentiert wurden: „Erinnerungen per Games“ aus dem Jahr 1998 in der Originalversion in Zusammenarbeit mit dem italienischen Komponisten Fabio Cifariello Ciardi im Acquario Romano für das 35. Festival di Nuova Consonanza in Rom und in der reinen Videoprojektionsversion, am Goethe-Institut Rom, 1999, in einer internationalen Ausstellung über videowork; „Körper“ aus dem Jahr 1999 und in der Videoinstallationsversion von 2000; „Antworten“ von 2001, vorgestellt am Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università di Roma „La Sapienza“ in Rom, anlässlich der von mir gemeinsam mit dem Kritiker und Theoretiker Domenico Scudero kuratierten internationalen Ausstellung „Utilità di sistema“; „Anonymus dedicated to Vally“ von 2001 ist der Ausdruck der letzten, bedeutendsten und reifsten Entwicklungsstufe des gesamten von der Künstlerin beschrittenen Weges.

Regina Hübners Projektfindungsprozess befindet sich ständig in konkreter Weiterentwicklung („in progress“). Seit den ersten Ergebnissen Anfang der 90er Jahre ist sie konstant und kohärent gereift, sowohl als Einzelkünstlerin als auch in häufiger und verschiedenster interaktiver Zusammenarbeit mit visuellen Künstlern, Komponisten und Schriftstellern. Sie erweist sich als eine der seltenen Persönlichkeiten, die das Interesse, den Mut, die Fähigkeit und die Intuition aufweisen, sich mit dialektischer Bereitschaft im interaktiven Akt auseinanderzusetzen.

Nach einem ersten, eher sentimentalistischeren und autobiografischeren Zugang, verbunden mit den persönlich gestalteten Erinnerungen der eigenen alltäglichen Erlebnisse, ist „Göttermilch“ von 1997, anlässlich ihrer Personalausstellung in Change – studio d’arte contemporanea in Rom, der vollständigste und befriedigendste Ausdruck, wo das Detail und das zerlegte und aufgelöste Fragment des fotografischen Bildes mit der Räumlichkeit der örtlichen Architekturformen verschmilzt, um „das Andere“ zu erzeugen. Dies geschieht, indem sie eine aus schlichter Montage von Skansionen und introspektiven Übereinanderlagerungen bestehende Projektion schafft – fast neo-geo Silhouetten -, die die Auflösung des ursprünglichen Bildes – was den Raum betrifft – wiederherstellen. Ein „Leitmotiv“, das die vorweggenommene Intuition dieser „Osmose des projizierten Anders-seins“ bedeutet, die auf das entfernte Jahr 1991 zurückgeht, Jahr ihres römischen Ausstellungsdebüts, anlässlich der Ausstellung „In vani comunicanti“, gemeinsam mit mir und der damals debütierenden Poetin Marina Corona.

Bei dieser Transformation gelingt es Hübner, mit ihrem originellen, gehobenen und poetischen Stil, ein Fließen und Zusammenfließen von kommunikativen oder nicht kommunikativen Handlungssystemen zu vermitteln, eine Methodologie der „Transfer-action“, die die nackte, objektive Realität in „etwas Anderes“ verwandelt. In der Entmaterialisierung und Wiedergewinnung eines neuen Bildes konkretisiert sich ein unpersönliches, sprachliches Verschieben. Dieses wird durch einen Filter vielfältiger dazwischenliegender antagonistischer Ausdrucksweisen und Faktoren, angereichert durch die Verflechtung von Beziehungen, die zu den unterschiedlichsten Forschungskontexten der zeitgenössischen Kunst zählen, erzeugt.

Eine schlichte und introspektive, von allem Überflüssigem gesäuberte Form - fast „new-existenzial-realism“, wie es die Minimalvision à la Samuel Beckett ausdrücken würde.

Die Wahrhaftigkeit dieses Prozesses und Projektes erlaubte es, Regina Hübner eine derartige Glaubhaftigkeit in ihren Arbeitserfahrungen gutzuschreiben, dass sie als eine der interessantesten und originellsten Persönlichkeiten im zeitgenössischen künstlerischen Panorama gilt und sie auf internationaler Ebene auf gleicher Höhe mit ihren bekannteren Kollegen steht. Beispiele dafür sind die Teilnahmen an den internationalen Ausstellungen, wie: „Il camino astratto“ von 1999, eine von Domenico Scudero für Change – studio d’arte contemporanea kuratierte Videoarbeit; und im Jahr 2000 in der Ausstellung „viatico [vi’a:tiko]“. Beide Ausstellungsprojekte in der renommierten a.k. Galerie von Hans Sworowski in Frankfurt am Main, 2001 mit „Anonymus dedicated to Vally“ in der Elaine L. Jacob Gallery and Community Arts Gallery of the Wayne State University in Detroit, Vereinigte Staaten.

Die Forschungsarbeit von Regina Hübner kann man in jenen spezifischen Sektor der zeitgenössischen Kunst einreihen, dessen Ursprünge in der sozialen und historischen Forschung, im introspektiven Archiv der Erinnerungen liegen, und der in der Tätigkeit des französischen Künstlers Christian Boltanski seinen bedeutendsten Exponenten findet. Beispiele sind seine zyklischen Werke, wie: „Les enfants de Dijon“ von 1986 oder „Les Ombres“ von 1995.

Aus dieser Prämisse geht hervor, dass die Arbeit der österreichischen Künstlerin, aufgrund der sprachlichen und dialektischen Einstellung bzw. den Grenzüberschreitungen mit dem Werk zeitgenössischer Künstler aus unterschiedlichen Umfeldern in Beziehung gesetzt werden kann, wie beispielsweise mit der letzten Videoinstallationsproduktion der Iranerin Sherin Neshat, von „Soliloquy“ (1999) bis zum neuesten Entwurf in der Binding-Brauerei in Kassel für die Documenta 11 im Jahr 2002; mit den Untersuchungen der Französin Sophie Calle „Die Entfernung – The Detechment“ von 1996; mit der Videoinstallation „Circular Breathing“ des Amerikaners Gary Hill von 1999 und konzeptuell in direkterem Kontakt mit Künstlern und Werkzyklen, wie: „Video Theorie I, II, III, IV“ von 1992 bis 1995 des Berliner Paares Dellbrügge und de Moll; „Matter of Fact“ von 1995 bis 1998 der Kölner Künstlerin Doris Frohnapfel; „Solo Tango“ von 2000 bis 2002 der Stuttgarter Künstlerin Nathalie Grenzhäuser; „Red shift“ von 1998 bis 1999 der Londonerin Kate Davis; „Luoghi di produzione della cultura“ des Italieners Mauro Folci; „Interferenzen...“ von 1999 des Österreichers Joseph Dabernig; mit dem sozialen Realismus des Chinesen Zhou Tiehai; mit „Room for Thought“ von 2001 und mit dem von mir in London und in Frankfurt am Main präsentierten „Wo... Die Entfernung als ein Modell der Wertschätzung“ von 2002.

In diesem Szenario hat die Künstlerin mehrmals mit einigen von ihnen Ausstellungen und Erfahrungen geteilt. Sie hat in diesem sicher partiellen, aber signifikanten und selektionierten Kontext an Individualitäten, die dialektisch im kunstkritischen System in kontinuierlicher kreativer Entwicklung aufeinandertreffen, entscheidend mitzureden. Der Kritiker und Theoretiker Domenico Scudero und die Kunsthistorikerin Patrizia Mania sind die bedeutendsten Hauptverantwortlichen als kritische Bezugspersonen bei der Unterstützung einer einvernehmlichen Gedankenformulierung. Ein innovatives System, das in den letzten Jahren dazu beigetragen hat, das kunstkritische Szenario transparenter zu machen. Es ist darauf gerichtet, neue gedankliche und identitätsstiftende Hypothesen wahrzunehmen und zu formulieren, indem ein kreatives – nicht parasitisches – Bewusstsein im kulturellen zeitgenössischen System in Italien gefestigt und mit einem Prozess der Assimilierung der Erinnerungen, als in der Realität der Gegenwart zu dokumentierendes historisch-soziales Zeugnis, interagiert wird.

Regina Hübner präsentiert sich also als emblematische Identität in der römischen Künstlerlandschaft, wo sie seit Mitte der 80er Jahre tätig ist. Eine Kunstszene, die wenige, dafür aber international bedeutsame Künstler vorzuweisen hat. Künstler, die sich durch eine autoreferentielle Autonomie hervorhoben, ohne sich von der Versuchung eines einfachen „ready-made object“ beeinflussen und gleichmachen, sondern durch eine leidenschaftliche Forschung, die außerhalb der postmodernistischen Kreise „à la mode“ gereift ist, motivieren zu lassen.

Identitäten, die mit Beharrlichkeit, Kontinuität und ethischem Bewusstsein dazu beigetragen haben, die richtige Bedeutung und den kritischen Wert einer auf den Gedanken der Rückkehr bedachten Projektierung, aus einem avantgardistischen Bedürfnis neokonzeptuellen und verhaltensbedingten Ursprungs, wiederherzustellen; weit entfernt von den heterogenen und künstlichen Delegitimierungen der vorhergehenden Jahrzehnte eines formal postmodernen und transavantgardistischen Systems. Letztere sind Symptome eines anachronistischen Manierismus. Ein peripheres und touristisches kulturelles Nomadentum, unnötiges Ornament einer Gesellschaft und eines Kunstsystems, das mit der postmodernen Kultur sympathisiert, ohne die dialektische Auseinandersetzung mit analogen internationalen Situationen zu „leben“.

Regina Hübner ist eine der überzeugendsten Interpretinnen im weiblichen Panorama, sicherlich die reifste und vielversprechendste Exponentin der letzten Generationen in der römischen Szene; tatsächlich gibt es schon zahlreiche Imitationsversuche von zweifelhafter Qualität.

Sie hat bei nicht wenigen relevanten Gelegenheiten so wie den verschiedenen Teilnahmen an internationalen Ausstellungen auf sich aufmerksam gemacht, wie: „Così lontano così vicino“, von 1997 mit der Installation „Proiezione Io-Tu“ nach einem analytischen Text der deutschen Kunsthistorikerin Gabriela Winter und 1999 mit der Installation „Tagebuch-Diario“ in Zusammenarbeit mit mir zum Zweck eines dialektischen Vergleichs mit Künstlern aus dem britannischen Raum. Beide Ausstellungen in Change - studio d’arte contemporanea in Rom. 2000 in „Camera della Donna“ mit der Installation „Warum“ in der Temple University Gallery in Rom. 2001 in der bereits oben erwähnten „Utilità di sistema“ und im selben Jahr in „P.G.S. – Portable group show“. Bei einer Auswahl an internationalen Künstlern aus Anlass der Eröffnung des neuen Ausstellungsraumes von Change – studio d’arte contemporanea. Bei dieser Gelegenheit stellte Hübner die Diaprojektions-Installation „Wohin – Dove“ vor.

Die Installation „Tagebuch – Diario“ von 1999 ist bis heute die letzte Zusammenarbeit zwischen mir und Regina. Sie ist Beweis einer perfektionierten sprachlichen Handlungsintegration, die einen konkreten Planungsentwurf eines gereiften dialektischen Gleichgewichts darstellt, wo die Kohäsion der beiden Künstler nicht mehr eine Montage von Übereinanderlagerungen der einzelnen individuellen Arbeiten erzeugt, wie bei den Erfahrungen der Vergangenheit, sondern durch die Entschlossenheit und Entschiedenheit charakterisiert ist, den formalen und sichtbaren Inhalt nur als einen Vermittler logischer reduzierender Konsequenz, in seiner dargestellten Begrifflichkeit widerzuspiegeln. In der Vergangenheit wurden die einzelnen Arbeiten synthetisch im interaktiven Akt untereinander gefiltert, in einem minimal-formalen Synchronismus. Ein Beispiel dieser frühen Werke, wo die einzelnen Erfahrungen in einem Eklektizismus sprachlicher Virtuosität ins Spiel gebracht wurden, sind einige interessante und originelle Installationen, wie: „Con-sequenze“ von 1994, ausgeführt in Turin in der Galerie Nova, in Interaktion mit dem performativen Akt der japanischen Komponistin Mayako Kubo. In der Folge wurde diese Installation mit einigen Änderungen im gleichen Jahr noch einmal präsentiert, nämlich in der restaurierten Villa Grazioli aus dem 15. Jahrhundert, wenige Kilometer von Rom entfernt. Weitere Entwicklungen dieser dualen Dynamik zwischen mir und Regina waren die Präsentationen im Lokal Alien in Rom, 1995, mit einer räumlichen Installation, die mit dem Publikum interagierte, begleitet von einigen poetischen Versen von Pietro Tripodo und 1996 mit der synchronen Zusammenarbeit anlässlich der Eröffnung des neuen römischen Ausstellungsraumes Change – studio d’arte contemporanea. Ein von mir entworfener Raum zur Förderung einer - genau in diesem kulturellen Moment spät-postmodernistischer Bedürfnisse – sich im Aussterben befindlichen experimentellen Forschung. Der Raum eröffnete mit einem Werk von uns beiden, das einen Großteil jener programmatischen Saison und jenes Prozesses vorwegnahm, der später in den Laboratorien folgen sollte. Innerhalb kürzester Zeit trafen dort qualifizierte Künstler und Kritiker verschiedenster Abstammung und kultureller Herkunft zusammen, um jenes innovative, noch heute in Gang befindliche, Projekt der Wiederaneignung der Würde unserer kunstkritischen Identität ins Leben zu rufen, ein Projekt, das inzwischen von diversen mühseligen Imitationsversuchen als Modell auf- und angenommen wurde.

In diesem Sich-Weiterentwickeln von kulturellen Fermenten ermutigt uns das „Leitmotiv der Osmose“ von Regina Hübner besonders, in ihren visuellen Hörgarten mit seiner verzweigten Vorgehensweise einzudringen. Ich verfolge und unterstütze mit Respekt und Aufmerksamkeit ihren gehobenen und einschneidenden, essentiellen Beitrag, die Erkenntnis ihrer Intuition aus der „Transfer-action“ mit Klarheit und Bestimmtheit im letzten von ihr präsentierten Werk „Anonymus dedicated to Vally“ sichtbar zu machen. Das ist eine bereits in Amerika gezeigte Videoinstallation, die jetzt anlässlich ihrer jüngsten Personalausstellung im Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università di Roma „La Sapienza“ nach Rom gelangt ist. Das Museum wird von Simonetta Lux, Schöpferin dieses öffentlichen Raumes, in dem sich Bildung und künstlerische Kreativität vereinen, geleitet.

Das „Leitmotiv der Osmose“ reiht sich in das lebhafte Geflecht des kunstkritischen Panoramas der experimentellen Forschung der zeitgenössischen visuellen Künste ein, indem es seine Aufmerksamkeit auf das nüchterne Hören des gegenwärtigen „Lebens und Handelns“ richtet. Durch eine absolut veristische Lyrik wiedergegeben, die eine Art zeitloses Unbehagen für ein „habitat“, das sich in der Entfernung ausdehnt, ausströmt. Ohne „Verpflichtung“ zu unnötigen Zitaten, in einer ausgefeilten „enallage“ – Handlungsmotiv der Transformation.

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