Regina Hübner > visions > now > Anonymus dedicated to Vally 2002-2004 > words > texts > Anonymus Regina Hübner > La verità pubblica e l'archivio della vita

 

text in italian and german below

Carlo Sini

 

La verità pubblica

e l'archivio della vita

 

Che la verità è pubblica è una celebre affermazione del filosofo ameri¬cano Charles Sanders Peirce. Che questa asserzione sia vera è a sua volta un esempio di verità pubblica. Cos'è dunque la verità pubblica? Anzitutto è una verità condivisa: l'opposto, diceva sempre Peirce, della idiosincrasia. Se sono l'unico al mondo a pensare una certa cosa, questa è, almeno per il momento, un'idiosincrasia. Ma se ne convinco un altro, o scopro che c'è un altro che la pensa come me, ecco una prima piccolissima cellula di verità pubblica. Verità molecolare, com¬posta da due atomi.

La faccenda, in realtà, non è così semplice. Gli uomini e le donne frequentano infatti, contemporaneamente, molteplici verità, spesso in contrasto fra loro. Quindi ci sono più verità pubbliche che sembrereb¬bero reciprocamente escludersi: e anche questa è una verità pubblica. Infatti Peirce aggiungeva che la verità pubblica, in senso forte o, per così dire, davvero vera, è quella sulla quale converranno alla lunga tutti gli uomini. Alla lunga: la cosa, in certi casi, può richiedere infatti un bel po' di tempo. Però Peirce non contemplava il caso, a sua volta molto frequente, dell'oblio.

Faccio due esempi. Che sia la terra a girare intorno al sole, e non viceversa, fu all'inizio una palese idiosincrasia, un'intuizione strava¬gante o una fantasia astratta e molto immaginaria; poi, "alla lunga", si convinsero tutti (ma ne siamo poi così sicuri?). Secondo esempio: molto tempo fa si scontrarono a lungo due opposte verità relative alla lingua degli angeli (e chi la ammetteva e chi la negava e così via); ma non si arrivò mai ad alcuna verità pubblica sulla quale tutti convenis¬sero: semplicemente, alla lunga, dimenticarono il problema. Accade anche nella vita privata: Tizio mi era davvero amico o faceva solo finta? A suo tempo la domanda infiammava l'animo del domandante, che oscillava ora di qui e ora di là e che avrebbe dato non si sa cosa per sapere la risposta, ossia la verità. Passarono gli anni e, per caso, il domandante si ricordò del problema, del quale non era mai venuto a capo, e fu allora che scoprì che di sapere la risposta non gli importava più e che il saperlo non avrebbe fatto alcuna differenza nella sua attua¬le vita.

La verità è pubblica in quanto su di essa si conviene: asserzione che, presa in questa forma molto astratta (Peirce vi costruisce sopra altre argomentazioni, delle quali qui non ci occupiamo), è poco più di una tautologia; e perciò non dice niente di significativo relativamente a ciò che si può pensare che la verità pubblica in sostanza sia. Per cer¬care di saperne qualcosa di più mi servirò dell'immagine dell'archivio. La verità pubblica è un archivio: cosa voglio dire?

Prendiamo come esempio il nome di Spinoza (Benedetto ecc.). Ogni nome, evidentemente, è pubblico, ma quello di Spinoza lo è un po' di più. Come divenga pubblico, un nome, si può mostrarlo in concreto. Padre e madre, già assegnati a nomi pubblici personali e familiari, discutono tra loro su come chiameranno il figlio che sta per nascere. Le loro supposizioni sono, per il momento, idiosincratiche e non di rado generano contrasti (tra loro, con i parenti, gli amici e gli impiccioni). Poi decidono, inaugurando una prima verità pubblica molecolare: gli altri, alla lunga, dovranno convenire. Ecco allora la registrazione fede¬le di ciò che succede. Se andate a consultare il registro delle nascite del Comune di Busseto, trovate per esempio scritto quanto segue: "L'anno 1813, il giorno 12 ottobre, alle ore 9, avanti di noi Vice Sindaco del Comune di Busseto, Ufficiale dello Stato Civile del Comune suddetto, Dipartimento del Taro, è comparso Verdi Carlo di anni ventotto, oste, domiciliato a Roncole, il quale ci ha presentato un bambino di sesso maschile nato il giorno 10 corrente alle ore 8 da esso dichiarante e da Luisa Uttini, filatrice, domiciliata a Roncole, sua moglie ed al quale egli ha dichiarato di dare i nomi di Giuseppe, Fortunino, Francesco...". In nome del padre e della sua "comparsa" nell'ufficio dello Stato Civile, il bambino è entrato nell'archivio della verità pubblica e invero non ne uscirà più, sino all'atto di morte. Com'è chiaro, la verità pubblica di ciascuno di noi è così consegna¬ta all'archivio della memoria pubblica, che poi si articola in una mol¬teplicità di archivi. E nel caso di Spinoza (come di Verdi) sono davve¬ro tanti. Un buon numero di persone (non poi cosi numerose, in asso¬luto) sa chi è (chi era) Spinoza: filosofo ebreo vissuto nel XVII secolo, non molto caro agli Ebrei che lo maledissero "pubblicamente", autore dell' Etnica more geometrico demonstrata, ecc. Verità pubblica condivisa. Bene, ma come ci capita di saperlo? Se uno oggi chiede: sai chi era Carlo Verdi? nessuno ne sa niente; se non fosse per quel suo figlio geniale e talentoso, la sua verità pubblica sarebbe quasi del tutto estin¬ta, riducendosi a quelle poche righe sopra citate, che in verità, non fosse appunto per suo figlio, nessuno si prenderebbe la briga di con¬sultare. Come invece è giunta sino a noi la "fama" di Spinoza o di Verdi?

Supponiamo di voler idealmente ricostruire, nella sua progressiva estensione nello spazio e nel tempo, l'archivio della memoria pubblica di Spinoza. Un brutto giorno, malato com'era di tisi, Spinoza muore, ma la faccenda non si chiude lì, con un bell'atto di morte e debita sepoltura, a sua volta destinata a ridursi a poche ossa e infine alla pol¬vere universale cui tutti siamo destinati (eccezion fatta per qualche faraone o miliardario americano di belle speranze). Non si ferma lì e anzi comincia straordinariamente a lievitare. Delle sue "robe", dei suoi vestiti e i suoi profumi, delle sue penne e le sue lenti, della macchina con la quale le molava, si perdono presto le tracce. Ma restano i suoi scritti. Gli amici pubblicano i suoi inediti. Le sue lettere vengono, sia pure in piccola parte, conservate e rese pubbliche, la sua biblioteca viene, attraverso complicate vicissitudini, salvata e raccolta (la si può vedere ancora oggi nella casetta di Rijnsburg, a sua volta restaurata, dove Spinoza visse per qualche tempo), i suoi ricordi vengono tra¬mandati, la sua vita narrata e trascritta in succinte biografie, e via dicendo.

È per l'esistenza di questo immenso archivio che è poi capitato, a me come ad altri, di imbattersi in "Spinoza", in questo nome pubblico consegnato alla storia e ancora vivente e operante fra di noi attraverso il suo archivio. Così, se volessi idealmente stilarlo questo archivio, nella sua attuale consistenza, dovrei elencarci una quantità sterminata di cose. Non solo la casetta di Rijnsburg con i suoi libri e altri oggetti ivi conservati, non solo qualche altro museo consimile e una manciata di manoscritti, ma, evidentemente, tutte le copie di libri di Spinoza esi¬stenti nel mondo una a una, e poi i libri e i saggi su di lui dispersi in case private e biblioteche, e le citazioni innumerevoli che, in altri libri, gli si riferiscono, le tesi di laurea che, in ogni parte del mondo, su di lui vengono scritte, discusse e catalogate, dimenticavo i libri della mia biblioteca che lo riguardano, e poi le associazioni di studiosi che si raccolgono in suo nome, con tanto di statuti, suppellettili varie, cariche sociali, bollettini e annuari, le conferenze e i corsi di lezioni che tratta¬no di lui e infine anche tutte le ricorrenze del suo nome che risuonano in ogni istante sulla bocca dei viventi attuali. Una massa di "oggetti" di varia natura nella quale si compendia l'attuale "corpo di Spinoza", se vogliamo dire così. Corpo pubblico a sua volta in evoluzione e deperibile. Vecchie edizioni vanno al macero e scompaiono nella pol¬vere, nuove interpretazioni e scoperte emergono e si diffondono, affos¬sandone altre che non verranno più ripetute, e così via. Uno strano corpo di cose e di verità pubbliche a sua volta, o "alla lunga", preve¬dibilmente mortale, come mortale è alla lunga ogni cosa umana.

Ma il fatto è che, se mi impegnassi davvero a compilare questo sup¬posto archivio, tenendolo debitamente aggiornato, mi imbatterei in una difficoltà insormontabile. Non tanto quella che tutti dapprima possiamo immaginare (come si fa a registrare tutta questa roba, loca¬lizzandola nel tempo e nello spazio, un'"Etica" in italiano a Saronno, in via Delle Rose, quarto piano, interno dodici, e un'altra in inglese, guarda un po', a Honolulu... e poi, tutte queste voci di uomini e di donne che in ogni istante pronunciano il suo nome: "Ma non mi fare lo Spinoza... ma chi ti credi di essere, Spinoza?", per non parlare degli atti di scrittura e di lettura di studenti, professori, gente colta o curiosa, involontari consultatori di dizionari ed enciclopedie che vi si imbatto¬no per caso, editori, librai, scalpellini di targhe stradali, bibliotecari, compilatori di memorie di computer, di siti Internet e così via): non è questa la difficoltà cui alludo, ma un'altra, semplicissima, e di princi-pio, non solo di fatto, appunto insormontabile. Di che si tratta? Si trat¬ta della impossibilità di includere nel mio archivio l'archivio stesso che vengo componendo. Eppure dovrebbe esserci. Anche questo archivio è una porzione pubblica del corpo di Spinoza, non diversamente da altre porzioni innumerevoli. Se l'archivio vuole essere completo, deve contenere anche se stesso; ma il gesto che lo registra non può a sua volta registrarsi: può solo reiterarsi all'infinito, sfuggendo ogni volta alla presa dell'archivio e delle sue scritture.

Constatazione banale, direte voi, costruita sulla falsariga di noti paradossi logici; oppure penosa imitazione di fantasmagorie alla Borges. Mica tanto, risponderei io, perché, tutto sommato, ne va della verità pubblica e poi del corpo vivente di Spinoza; il che significa, in sostanza, della verità della vita di ognuno di noi. Cerco di spiegarmi.

Guardiamo la cosa dal punto di vista della verità pubblica. Da quel che abbiamo detto si vede chiaramente che la verità pubblica non basta a se stessa. Hai voglia a immaginare un futuro infinitamente lontano, come dice Peirce, nel quale tutte le menti degli uomini e delle donne si saranno accordate e avranno convenuto: questo immaginario evento non potrà comunque iscriversi nella verità pubblica che dice e dichia¬ra, appunto perché la dice. Un certo Carlo Verdi è "comparso" e ha detto: questo è mio figlio; voglio chiamarlo Giuseppe (anche mia moglie, che qui non compare, è d'accordo: lo dico io). Il fatto è che la verità pubblica si compone di infinite "trascrizioni" che, per così dire, trascorrono da un archivio all'altro. Questa è la biblioteca di Spinoza, dice la custode della casa-museo. Per sapere che è vero, dobbiamo risa¬lire al "comparire" di svariate intenzioni e azioni che le hanno conferi¬to un senso, un'unità, un significato e infine un nome, quello di Spinoza, appunto. Nessuno di questi eventi sta nella biblioteca, poiché appunto la circoscrive, a cominciare dal suo proprietario iniziale, che di volta in volta dovette dirsi: questo libro me lo compro e me lo porto a casa, invero senza avere alcuna idea di biblioteca o altre idee affini. E se si pentiva dell'acquisto, si tirava dietro il libro per inerzia di casa in casa, come capita anche a noi. Di certo quando guardo i libri del mio studio non penso: ecco la biblioteca di Carlo Sini, non sono mica matto. Sono i miei libri e basta. Se fossi un gran signore o avessi un maggior¬domo potrei dire: mi porti il caffè in biblioteca, Giovanni... allora "la biblioteca" comparirebbe come oggetto per lui, cioè nella trascrizione dei nostri rapporti di signoria-servitù, oggi quanto mai obsoleti e ridi¬coli, oltreché imbarazzanti.

Insomma, come proprio Peirce dice, il significato della mia vita, di ogni suo atto e gesto, è affidato alla interpretazione degli altri, alle verità che gli altri ne ricaveranno e a ciò che ne faranno. Rispetto alla vita vivente di ognuno, la verità pubblica è sempre quel che ne dicono e ne fanno gli altri: essa mi appartiene tanto poco che a stento potrei riconoscermici. Pensate che Spinoza si riconoscerebbe nei libri che scri¬viamo su di lui? o che avrebbe mai potuto immaginare quel che abbia¬mo fatto di lui, come oggetto culturale, capitolo della storia della filo¬sofia, argomento di tesi di laurea, voce di enciclopedia, citazione eru¬dita nel discorso di un politico sussiegoso e così via? Che poteva importargli della erudizione, lui che mirava alla vita felice, purificata da passioni e vanità inconsistenti, e poi alla libera espressione del pensiero in uno stato liberale, affrancato da pregiudizi e da odiose censure.

Tuttavia nessuno di noi potrebbe essere quello che è senza la com¬penetrazione e la partecipazione personale e diretta alla verità pubbli¬ca. È questa verità che ci assegna a un mondo comune e che ci conferi¬sce un'identità, come noi oggi diciamo, "storica" e "sociale". A ben guardare, non c'è che verità pubblica in noi, nei nostri gesti, nei nostri abiti, ancor più nelle nostre parole, che sono infatti quelle di tutti, per terminare con le nostre credenze e opinioni. Certo, la verità pubblica in cui vivo ne presenta molte di credenze e di opinioni e io posso assu¬merne diverse, certe sì e altre no; non mai però al di fuori dell'oriz¬zonte a me dato dei modi pubblici di vita e di sapere che ci accomu¬nano e che ci contraddistinguono. Non posso nutrire opinioni tolemaiche e non credo che gli angeli parlino in inglese; anzi, non mi risul¬ta che parlino affatto. Non ogni cosa può essere detta in ogni tempo, osservava giustamente Foucault. Quindi ogni mio atto si trascrive nell’archivio del mio tempo e mostra un'aria di famiglia con gli atti dei miei contemporanei. Lo stesso diciamo di Spinoza, confinato là con le sue parrucche e le sue lenti, alle prese con fanatici che lo vogliono pugnalare e col suo popolo impazzito che massacra i fratelli De Witt.

Nel contempo è vero che ogni mio gesto è un'emergenza, è la soglia di un inizio, che iscrive immediatamente la mia vita nell'archivio di tutti e che in questo senso è l'emergenza di una vivente scrittura, è una bio-grafia. Scrivo di continuo la mia vita in ogni gesto ed esibisco la sua verità, nelle figure pubbliche delle scritture che sono consone all'ar¬chivio della verità che tutti in questo tempo siamo e frequentiamo. La biografia è così sempre un'auto-bio-grafia: vita che si scrive da sé, nella sua anonima emergenza, e che nello scriversi si apprende, si identifi¬ca, si osserva rispecchiata nella sua figura di verità, determinando per riflesso ciò che sono, il mio essere autobiografico, appunto, la mia "sostanza". Aristotele, riferendosi alla sostanza, alla sua natura "essen¬ziale", parlava del ti en einai; letteralmente: ciò che era essere; il che, a suo modo (osserverebbe a questo punto Spinoza), già diceva tutto. La vita iscritta, infatti, l'archivio della vita che di continuo si incrementa con i miei atti, è sempre vita passata, traccia irrecuperabile, destinata alla polvere e infine all'oblio. Vita interpretata: unico luogo in cui la vita, transitando, si dà a vedere e a comprendere, per rimanere lei stes¬sa incompresa e incomprensibile, anzitutto a colui che l'ha vissuta, riemergendone appunto come ciò che "era" e che proprio per questo non è più. Vita attuata e perciò perduta nell'emergenza riemergente. Sicché, se è vero che tutto in me è e si risolve in verità pubblica, nella scrittura di un provvisorio archivio delle memorie, è nel contempo vero che questo gesto medesimo, questo dire che ora dico, questo varco e questo transito che ora emerge nella scrittura di un'autobio¬grafia, è quell'evento di verità che, dando luogo all'archivio, insieme non vi si traduce, anzi lo circoscrive e lo sfugge: vita che fronteggia la morte nell'emergenza in sé eterna (proprio nel senso in cui Spinoza parlava della eternità della sostanza) del suo infinito accadere.

Per questo, credo, Spinoza, proprio a proposito della morte, così si espresse nella Proposizione 67 della IV parte dell'Etica: "L'uomo libe¬ro a nessuna cosa pensa meno che alla morte; e la sua sapienza è una meditazione non della morte, ma della vita".

 

 

Testo apparso in AA.VV., Scritture del Tempo, “Oltrecorrente”, n.3, Marzo 2001


 

Carlo Sini

 

Die öffentliche Wahrheit

und das Archiv des Lebens

 

Dass die Wahrheit öffentlich ist, ist ein berühmter Ausspruch des amerikanischen Philosophen Sanders Peirce. Dass diese Behauptung wahr ist, ist wiederum ein Beispiel von öffentlicher Wahrheit. Was ist also die öffentliche Wahrheit? In erster Linie ist sie eine von allen akzeptierte Wahrheit: das Gegenteil, das sagte Peirce ebenfalls, der Idiosynkrasie. Wenn ich der einzige auf der Welt bin, der eine bestimmte Sache denkt, ist diese, zumindest für einen Augenblick, eine Idiosynkrasie. Doch wenn ich einen anderen davon überzeuge oder entdecke, dass noch jemand so denkt wie ich, dann ist das eine winzige Zelle an öffentlicher Wahrheit. Molekulare, aus zwei Atomen zusammengesetzte, Wahrheit.

Die Angelegenheit ist eigentlich nicht so einfach. Männer und Frauen verkehren nämlich gleichzeitig in vielfältigen Wahrheiten, die häufig untereinander in Kontrast stehen. Es gibt also mehrere öffentliche Wahrheiten, die sich gegenseitig ausschließen zu scheinen: auch das ist eine öffentliche Wahrheit. Peirce fügte hinzu, dass die in engem Sinn oder, sozusagen wirklich wahre, öffentliche Wahrheit, die ist, auf die sich langfristig alle Menschen einigen werden. Langfristig: die Sache kann nämlich, in bestimmten Fällen, ziemlich viel Zeit beanspruchen. Peirce jedoch berücksichtigte den sehr häufigen Fall der Vergessenheit nicht.

Ich nenne zwei Beispiele: Dass sich die Erde um die Sonne dreht und nicht umgekehrt, war anfangs eine offenkundige Idiosynkrasie, eine exzentrische Intuition oder eine abstrakte und sehr unwirkliche Fantasie; dann jedoch, langfristig, überzeugten sich alle (sind wir uns wirklich so sicher darüber?). Zweites Beispiel: vor langer Zeit trafen zwei gegensätzliche Wahrheiten in Bezug auf die Sprache der Engel aufeinander (zwischen denen, die sie bejahten und denen, die sie verneinten usw.); aber man kam nie zu irgendeiner öffentlichen Wahrheit, auf die sich alle einigten: ganz einfach vergaß man mit der Zeit das Problem. Das geschieht auch im Privatleben: War dieser Kerl wirklich mein Freund oder tat er nur so? Zu jenem Zeitpunkt entflammte diese Frage die Seele des Fragestellers, der hin und her schwankte und der, wer weiß was, dafür gegeben hätte, die Antwort zu kennen, sprich die Wahrheit. Es vergingen die Jahre und zufällig erinnerte sich der Fragesteller an das Problem, mit dem er nie fertig geworden ist, und in dem Moment entdeckte er, dass es nicht mehr wichtig für ihn war, die Antwort zu kennen und dass sie keinen Unterschied in seinem jetzigen Leben ausgemacht hätte.

Die Wahrheit ist insofern öffentlich, als man über sie übereinkommt: Behauptung, die, in dieser sehr abstrakten Form genommen (Peirce baut darauf andere Argumentationen auf, mit denen wir uns hier nicht beschäftigen), kaum mehr als eine Tautologie ist; und deshalb nichts signifikatives bezüglich dessen aussagt, was man denken kann, was die öffentliche Wahrheit im wesentlichen sei. Um zu versuchen etwas mehr darüber zu erfahren, werde ich mich des Bildes des Archivs bedienen.

Die öffentliche Wahrheit ist ein Archiv: Was will ich damit sagen?

Nehmen wir als Beispiel den Namen Spinoza (Benedetto etc.). Jeder Name ist klarerweise öffentlich, aber der von Spinoza ist es ein bisschen mehr. Wie ein Name öffentlich wird, kann man konkret beweisen. Vater und Mutter, die schon öffentliche Vor- und Familiennamen haben, diskutieren untereinander darüber, wie sie den Sohn, der bald auf die Welt kommt, nennen werden. Ihre Vorschläge sind, momentan, idiosynkratisch und nicht selten rufen sie Kontraste hervor (zwischen ihnen, den Eltern, den Freunden und den Störenfrieden). Dann entscheiden sie und leiten dadurch eine erste öffentliche molekulare Wahrheit ein: die anderen werden langfristig übereinstimmen müssen. Hier also die genaue Aufzeichnung von dem, was dann passiert. Wenn ihr das Geburtenregister von Busseto konsultiert, findet ihr beispielsweise Folgendes geschrieben: Das Jahr 1813, der 12. Oktober, 9 Uhr, vor uns Vizebürgermeister der Gemeinde Busseto, Standesbeamter der oben genannten Gemeinde, Verwaltungsbezirk Taro, ist der 28jährige Carlo Verdi, Gastwirt, wohnhaft in Roncole, erschienen, der uns ein Kind männlichen Geschlechts, geboren am 10. dieses Monats um 8 Uhr, präsentierte und gemeinsam mit seiner Ehefrau, Luisa Uttini, Spinnerin, wohnhaft in Roncole, erklärte, die Namen Giuseppe, Fortunino, Francesco... zu geben“. Durch den Namen des Vaters und sein „Erscheinen“ auf dem Standesamt ist das Kind in das Archiv der öffentlichen Wahrheit eingetreten und wird wahrlich bis zur Sterbeurkunde nicht mehr herauskommen.

Es ist klar, dass die öffentlichen Wahrheit eines jeden von uns auf diese Weise dem Archiv des öffentlichen Gedächtnisses übergeben wird, welches sich dann in eine Vielfalt von Archiven gliedert. Und im Fall von Spinoza (wie dem von Verdi) sind es wirklich viele. Eine große Anzahl von Personen (absolut gesehen doch nicht so viele) wissen, wer Spinoza ist (war): Ein jüdischer Philosoph, der im 17. Jahrhundert lebte und den die Juden nicht sehr liebten, den sie „öffentlich“ verfluchten, Autor der „Ethica more geometrico demonstrata“, etc. Eine von allen akzeptierte öffentliche Wahrheit. Gut, aber wie können wir das wissen? Wenn heute jemand fragt: Weißt du, wer Carlo Verdi war? weiß niemand etwas über ihn; wenn es nicht wegen seines genialen und talentierten Sohnes wäre, wäre seine öffentliche Wahrheit fast ausgelöscht, sie würde sich auf die wenigen Zeilen beschränken, die zu lesen sich in Wirklichkeit, wenn es eben nicht wegen seines Sohnes wäre, niemanden kümmern würde. Wie ist jedoch der „Ruhm“ von Spinoza und Verdi bis zu uns gelangt?

Nehmen wir an, das Archiv des öffentlichen Gedächtnisses über Spinoza theoretisch in seiner progressiven Ausdehnung in Raum und Zeit rekonstruieren zu wollen. Eines Tages, schwindsüchtig wie er war, stirbt Spinoza, doch die Angelegenheit endet nicht dort, mit einer schönen Todesurkunde und einem gebührenden Begräbnis, seinerseits dazu bestimmt, sich auf wenige Knochen zu reduzieren und letztendlich zu universellem Staub zu werden, was uns allen bestimmt ist (mit Ausnahme einiger Pharaonen oder amerikanischer hoffnungsvoller Milliardäre). Sie macht nicht dort halt, im Gegenteil, sie beginnt außergewöhnlich zu wachsen. Von seinem „Zeug“, seinen Kleidern und seinen Parfums, seinen Schreibfedern und seinen Linsen, von der Maschine mit denen er sie schliff, verlieren sich bald die Spuren. Aber es bleiben seine Schriften. Seine Freunde veröffentlichen seine unveröffentlichten Werke. Seine Briefe werden, wenn auch zu einem geringen Teil, aufbewahrt und veröffentlicht, seine Bibliothek wird nach komplizierten Wechselfällen gerettet und gesammelt (man kann sie noch heute im restaurierten Häuschen in Rijnsburg, wo Spinoza für einige Zeit lebte, besichtigen), seine Memoiren werden überliefert, sein Leben erzählt, aufgeschrieben und in knappen Biografien wiedergegeben, usw.

Und wegen der Existenz dieses immensen Archivs ist es mir, so wie anderen passiert, auf Spinoza, auf diesen öffentlichen, der Geschichte übergebenen und noch heute durch sein Archiv unter uns lebenden und handelnden Namen, zu stoßen. Auf diese Weise, wenn ich theoretisch dieses Archiv in seinem derzeitigen Bestand erfassen wollte, müsste ich eine unendliche Menge an Sachen auflisten. Nicht nur das Häuschen in Rijnsburg mit seinen Büchern und anderen dort aufbewahrten Gegenständen, nicht nur irgendein anderes ähnliches Museum und eine Handvoll Handschriften, sondern natürlich alle auf der Welt existierenden Abschriften der Bücher Spinozas, eine nach der anderen, und dann die Bücher und Aufsätze über ihn, die in privaten Häusern und Bibliotheken verstreut sind und die unzähligen Zitate, die sich in anderen Büchern auf ihn beziehen, die Diplomarbeiten, die in allen Erdteilen über ihn geschrieben, diskutiert und katalogisiert werden, ich vergaß die Bücher meiner Bibliothek, die ihn betreffen, und dann die Vereinigungen von Gelehrten, die sich in seinem Namen zusammenfinden, mit vielen Statuten, diversen Gegenständen, sozialen Titeln, Berichten und Jahrbüchern, die Konferenzen und Vorlesungsreihen, die von ihm handeln und auch jedes Auftreten seines Namens, der ständig im Mund der jetzt Lebenden ist. Eine Unmenge von „Gegenständen“ unterschiedlicher Natur, die den gegenwärtigen „Körper Spinozas“ ausmachen, wenn wir so sagen wollen, ein öffentlicher Körper wiederum in Evolution und verderblich. Alte Editionen werden eingestampft und verschwinden im Staub, neue Interpretationen und Entdeckungen treten auf und verbreiten sich, andere unter sich begrabend, die nicht mehr wiederholt werden, usw. Ein seltsames Konvolut an Dingen und öffentlichen Wahrheiten, „langfristig“ vorhersehbar sterblich, so wie langfristig alles Menschliche sterblich ist.

Aber die Tatsache ist, dass, wenn ich mich wirklich bemühen würde, dieses vermutete Archiv zu erfassen, es ordnungsgemäß am Laufenden zu halten, ich auf eine unüberwindliche Schwierigkeit stoßen würde. Nicht so sehr die, die wir uns im ersten Augenblick vorstellen können (wie kann man dieses ganze Zeug erfassen und in Zeit und Raum einordnen, eine „Ethik“ auf Italienisch in Saronno, in Via delle Rose, 4. Stock, Wohnungsnummer 12, und eine andere auf Englisch, sieh mal einer an, in Honolulu...und dann diese ganzen Stimmen von Männern und Frauen, die in jedem Moment seinen Namen aussprechen: „Tue nicht so, als wärst du Spinoza...Für wen hältst du dich eigentlich, für Spinoza?“, ganz zu schweigen vom Aufschreiben und Lesen der Studenten, Professoren, Gebildeten und Neugierigen, unfreiwilligen Wörterbuch- oder Enzyklopädiebenützern, die zufällig darauf stoßen, Herausgebern, Buchhändlern, Meißlern von Straßenschildern, Bibliothekaren, Verfassern von Computerdateien, von Websites, usw.): das ist nicht die Schwierigkeit, auf die ich anspiele, sondern eine andere, ganz einfache, prinzipiell, nicht nur tatsächlich, unüberwindliche. Um was geht es? Es geht um die Unmöglichkeit, in mein Archiv das Archiv selbst, das ich gerade erstelle, einzuschließen. Und doch sollte es darin sein. Auch dieses Archiv ist ein öffentlicher Teil von Spinozas Körper, nicht anders als andere unzählige Teile. Wenn das Archiv vollständig sein will, muss es auch sich selbst enthalten; doch die Handlung, die es erfasst, kann sich nicht selbst eintragen: sie kann sich nur unendlich oft wiederholen, entflieht aber jedes Mal dem Zugreifen des Archivs und seiner Schriften.

Banale Feststellung werden Sie sagen, aufgebaut auf dem Muster logischer Paradoxa; oder peinliche Imitation der Fantastereien à la Borges. Würde ich nicht sagen, denn, alles in allem, steht die öffentliche Wahrheit und der lebende Körper von Spinoza auf dem Spiel; was im wesentlichen bedeutet, die Wahrheit des Lebens eines jeden von uns. Ich versuche zu erklären, was ich meine.

Betrachten wir die Sache vom Gesichtspunkt der öffentlichen Wahrheit. Aus dem, was wir gesagt haben, geht klar hervor, dass die öffentliche Wahrheit sich selbst nicht genügt. Wenn du Lust hast, dir eine unendlich weit entfernte Zukunft vorzustellen, wie es Peirce ausdrückt, in der sich alle Köpfe der Männer und Frauen geeinigt haben werden und übereingekommen sein werden, wird dieses imaginäre Ereignis trotzdem nicht zur öffentlichen Wahrheit gehören können, die es ausspricht und erklärt, eben weil es sie ausspricht. Ein gewisser Carlo Verdi ist „erschienen“ und hat gesagt: das ist mein Sohn, ich will ihn Giuseppe nennen (auch meine Frau, die hier nicht anwesend ist, ist einverstanden: das sage ich). Die Tatsache ist, dass sich die öffentliche Wahrheit aus unendlichen „Eintragungen“ zusammensetzt, die, sozusagen, von einem Archiv zum anderen überwechseln. Das ist die Bibliothek von Spinoza, sagt die Aufseherin des Museums. Um zu erfahren, dass das wahr ist, müssen wir auf das „Auftreten“ unterschiedlicher Absichten und Handlungen, die ihr einen Sinn, eine Einheit, eine Bedeutung und letztendlich einen Namen verliehen haben, den von Spinoza, zurückgreifen. Keines dieser Ereignisse befindet sich in der Bibliothek, denn sie umgeben sie, beginnend bei ihrem ersten Besitzer, der sich jedes Mal sagen musste: ich kaufe dieses Buch und trage es nach Hause, eigentlich ohne eine Ahnung von Bibliotheken oder Ähnlichem zu haben. Und wenn er den Erwerb bereute, nahm er das Buch trotzdem aus Gewohnheit von Wohnung zu Wohnung mit, wie es auch uns geschieht. Natürlich denke ich, wenn ich meine Bibliothek ansehe, nicht: Das ist die Bibliothek von Carlo Sini, ich bin doch nicht verrückt. Es sind meine Bücher und Schluss. Wenn ich ein großer Herr wäre und einen Diener hätte, könnte ich sagen: bringen Sie mir den Kaffee in die Bibliothek, Giovanni...dann würde „die Bibliothek“ als ein Objekt für ihn erscheinen, d. h. in der Umsetzung unserer Beziehung Herr-Dienerschaft, heute sowohl obsolet und lächerlich als auch peinlich.

Die Bedeutung meines Lebens, jeder Handlung und jeder Geste wird der Interpretation der anderen anvertraut, wie Peirce sagt, den Wahrheiten, die die anderen davon ableiten werden und dem, was sie damit anfangen werden. In Bezug auf das lebende Leben eines jeden ist die öffentliche Wahrheit immer das, was die anderen darüber sagen und daraus machen: es gehört mir so wenig, dass ich mich nur mit Mühe darin zu erkennen vermag. Denken Sie, dass sich Spinoza in den Büchern, die wir über ihn schreiben, wiedererkennen würde? Oder dass er sich jemals hätte vorstellen können, was wir aus ihm gemacht haben, als kulturelles Objekt, Kapitel der Geschichte der Philosophie, Argument von Diplomarbeiten, Lemma von Enzyklopädien, gelehrtes Zitat in der Rede eines affektierten Politikers usw.? Was konnte ihm die Gelehrtheit bedeuten, ihm, der nach dem glücklichen, von unbegründeten Leidenschaften und Eitelkeiten befreiten Leben strebte, und nach der freien Meinungsäußerung in einem liberalen Staat, befreit von Vorurteilen und verhassten Zensuren.

Trotzdem könnte niemand von uns das sein, was er ist, ohne die Durchdringung und die persönliche und direkte Beteiligung an der öffentlichen Wahrheit. Es ist diese Wahrheit, die uns einer gemeinsamen Welt zuordnet und uns eine, wie wir heute sagen, „historische“, „soziale“ Identität verleiht. Wenn man’s genau nimmt, gibt es nichts als öffentliche Wahrheit in uns, in unseren Handlungen, unseren Kleidern, mehr noch in unseren Worten, die nämlich die aller sind, bis zu unseren Denkweisen und Meinungen. In der öffentlichen Wahrheit, in der ich lebe, gibt es viele Denkweisen und Meinungen, und ich kann diverse davon übernehmen, gewisse schon und andere nicht; niemals jedoch außerhalb des Horizonts, der mir von der öffentlichen Lebensweise und dem Wissen, das uns verbindet und unterscheidet, vorgegeben ist. Ich kann keine ptolemäischen Ansichten hegen und ich glaube nicht, dass Engel Englisch sprechen; ja, soviel ich weiß, sprechen sie überhaupt nicht. Nicht alles kann zu jeder Zeit gesagt werden, stellte richtigerweise Foulcault fest. Deshalb überträgt sich jede Handlung von mir in das Archiv meiner Zeit und weist etwas Familiäres mit den Handlungen meiner Zeitgenossen auf. Das Gleiche sagen wir über Spinoza, verbannt mit seinen Perücken und Linsen, angegriffen von Fanatikern, die ihn erstechen wollen und von seinem verrückt gewordenen Volk, das die Brüder De Witt massakriert.

Zugleich ist es wahr, dass jede meiner Handlungen ein Hervortreten ist, eine Anfangsschwelle, die sofort mein Leben in das Archiv aller einträgt und in diesem Sinn das Hervortreten einer lebenden Schrift, einer Bio-grafie, ist. Ich schreibe kontinuierlich mein Leben mit jeder Handlung und zeige ihre Wahrheit in den öffentlichen Figuren der Dokumente, die mit dem Archiv der Wahrheit, das wir alle derzeit sind und in dem wir verkehren, übereinstimmen. Eine Biographie ist dadurch immer eine Auto-Bio-Graphie: Leben, das sich in seinem anonymen Hervortreten von selbst schreibt und das sich beim Schreiben versteht, identifiziert und beobachtet, widergespiegelt in seiner Figur der Wahrheit, indirekt das bestimmend, was ich bin, mein autobiografisches Sein, eben mein „Wesen“. Aristoteles, sich auf das Wesen, auf seine „essenzielle“ Natur beziehend, sprach vom ti en einai; buchstäblich: das gewesene Sein; was, auf seine Weise (würde an diesem Punkt Spinoza bemerken) schon alles sagte. Das aufgeschriebene Leben, das heißt das Archiv des Lebens, das sich ständig mit meinen Handlungen erweitert, ist immer vergangenes Leben, unwiederbringliche Spur, dazu bestimmt, Staub zu werden und in Vergessenheit zu geraten. Interpretiertes Leben: einziger Ort, an dem sich das Leben, vergehend, zeigt und zu verstehen gibt, um selbst unverstanden und unverstehbar zu bleiben, vor allem demjenigen, der es gelebt hat, von dort nämlich als das, was es „war“ und genau deshalb nicht mehr ist, wiederhervortretend. Verwirklichtes Leben und deshalb im wiederhervortretenden Hervortreten verloren. Wenn es also wahr ist, dass alles in mir ist und in öffentlicher Wahrheit und im Aufschreiben eines provisorischen Archivs der Erinnerungen endet, ist es zugleich wahr, dass diese Handlung selbst, dieses Sagen, das ich jetzt sage, diese Öffnung und dieser Durchgang, der nun beim Schreiben einer Autobiographie hervortritt, jenes Ereignis der Wahrheit ist, das das Archiv schafft, sich darin aber nicht erkennt, es im Gegenteil abgrenzt und ihm entkommt: Leben, das dem Tod durch das ewige Hervortreten (genau in dem Sinn, in dem Spinoza von der Ewigkeit des Wesens sprach) seines unendlichen Geschehens entgegentritt.

Deshalb, glaube ich, drückte sich Spinoza in Satz 67 des IV. Teils der Ethik in Bezug auf den Tod folgendermaßen aus: „Der freie Mensch denkt an nichts weniger als an den Tod, und seine Weisheit ist keine Meditation über den Tod, sondern über das Leben.“

 

Erschienen in AA.VV., Scritture del Tempo, „Oltrecorrente“, Nr. 3, März 2001

Regina Hübner > visions > now > Anonymus dedicated to Vally 2002-2004 > words > texts > Anonymus Regina Hübner > Carlo Sini La verità pubblica e l'archivio della vita