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text in italian and german below

Simonetta Lux

 

I testimonials e la loro amica e regina.

 

Che cosa fa di un uomo un uomo?

Storia = memoria, dicono gli autori dei saggi qui di seguito. Storia = memoria = creazione = arte, direi io di più, convincendomi nel corso dei miei mitici trenta anni percorsi che nessuna storia è possibile se non come linguaggio strutturato ed arbitrariamente regolato nella sua “apparizione”, quale che sia la forma-materia di linguaggio prescelto sia scrittura, gesto, azione curatoriale o parola.

E’ per questo che rifiuto quasi tutti i miei scritti, salvo forse uno , quello su Pino Pascali intitolato “Tutta la storia è da creare”.

Su una patetica intuizione di questo genere, innestata forse sul concetto arganiano di identità di storia e critica, oggi rivisitata anzi rivissuta nel mondo della storia politica attraverso il successo delle biografie di grandi personaggi appartenenti a mondi estranei allo spettacolo e al consueto apparire, come la politica o la economia o la scienza, e nel mondo dell’arte attraverso azioni eclatanti come la dichiarazione di ambiguità e scambievolezza di status artista/ curatore, si svolge la vita e la azione creativa – conoscitiva della regina dei testimonials, Regina Hübner.

Le sue sottili inquietudini esistenziali e mentali, fisiche e concettuali, la sua continua oscillazione tra corpo e anima, tra natura e cultura, si incarnano in opere, segnali, costruzioni immateriali che illuminano l’oscuro luogo dell’ambiguità del vero/falso, reale/artistico, autentico/in autentico, abitato da non molto tempo da una piccola truppa di critici ed artisti di avanguardia non “agonica”: i “testimonials”.

Abbiamo già messo in campo le parole chiave da cui nascerà “tutta la storia” che l’arte crea: memoria, appunto, azione, linguaggio, arbitrarietà, inquietudine, testimonialità[i], immaterialità.

Altri mostrano più oltre invece i contesti da tutti noi (ahimè)condivisi in cui opera la artista: la guerra e le sue pseudo – immagini (chi sa mai se quella splendida luce che scoppia e illumina la città addormentata sia una bomba in tempo reale o differito, documento di una esercitazione o assalto vero?), la stanza e la casa vuota nella cui solitudine persino le apparizioni amiche o parentali appaiono indecifrabili, l’orbita della frammentazione visiva nella quale accorgimenti sensibili sembrano essere quelli che privilegiano enfasi e frammento, il corpo nei processi di autoosservazione e di enfatizzazione di organi in fase senziente o percipiente.

Un nuovo principio di deformazione.

Donde la centralità nell’opera di Regina Hübner della questione del comunicare nelle forme più vissute dell’ impedimento, dell’inibizione, dell’interferenza; e dell’azione del percepire, nelle vicende oggi prevalenti dell’interruzione, dello stress pixel-liminale: insomma la sensualità, il sentire, stando nel regno della tecnica.

Eccoci tornati alla domanda iniziale: che cosa fa di un uomo un uomo?

Che cosa sente o vede o fa vedere di pensare veramente?

Che cosa avviene tra i due estremi, della natura e della cultura, dell’organico e dell’informatico o post tecnologico?

Tecnologie della visualità, della percezione o dello sguardo hanno forse svelato universi sconosciuti alla nostra sensibilità.

Ma quanto grande il campo dell’insondato, quanto il campo dell’invisibilità rispetto all’atto di apprensione sintetico che è propriamente dell’umano!

Quale è la cosa più importante che non si svela?

Regina Hübner vive ed opera nell’interrogativo che come sempre si svelerà senza risposta, sfidando lo pseudo superpotere dei nuovi media.

I media, i sensi.

La sfida è un uso “inadeguato”, un “mode d’emploi” di sotto- o sovra-esposizione delle potenzialità in essi insite, od anche una esplorazione “fuoriscala” dell’atto percettivo – lo sguardo, il pensiero - o dell’oggetto della percezione (addirittura con un gioco di moltiplicazione speculare, per cui l’oggetto è osservato mentre percepisce, mentre dice e pensa o ascolta).

Ecco la ripresa al rallentatore dei ritratti della sua ultima opera, Anonymus dedicated to Vally, in cui ognuno degli amici diventa “sconosciuto”, un ritratto del recondito.

In effetti la Hübner in Anonymus dedicated to Vally dice a ogni suo amico/personaggio: “dimmi”.

Loro dicono, ma lei impone loro che ciò che dicono non sarà mai percepibile (scorrerà registrato al rovescio nella loro animazione rallentata; sarà stampato in apposite immagini su fondo nero ma non collegato a coloro che hanno detto etcoetera).

La scissione tra autore e il suo operato, avviene fin dall’incipit, cosicché la sequenza: elaborazione mentale/creazione del messaggio / ripresa fotografica / animazione delle sequenze fisiognomiche del dire/ si costituisce in comparti separati incomunicanti.

Perché Regina Hübner mette in scena tutti questi impedimenti alla comunicazione (l’irriconoscibilità, l’incomprensione del dire, etc.) ?

Tutto ciò non è altro che esibizione del sistema di segni che è l’opera d’arte, il simbolico inteso come costruzione percettiva e mentale della realtà.

Di una dei suoi amici non aveva mai compreso la grande affettuosità, ma neanche ora la intravede (pur sapendola).

Non esistono in verità “contenuti”, “senso” dispiegabili in una fisionomia, in un corpo, ma eventualmente la attribuzione di “simbolicità” da parte del soggetto ricettivo al soggetto recepito: dunque la trasformazione del reale (corpo o fisionomia “in azione”) in “segno/simbolo”.

Così – sotto la sua stessa pressione autogena di interrogazione della possibilità di lettura del senso - agisce Regina Hübner percipiente nei confronti del corpo / persona, nei confronti dell’altro: gli altri che di per sé non “significano” nulla, così è Regina a significare, a realizzare “il significare assoluto”.

Non ci sono “uomini” dietro il dire, agire, esprimere corporalmente. Ribadendo la relazionalità arbitraria significante/significato, annulla ogni retorica, ogni inflessione, ogni identificazione individuale.

L’individuo, il soggetto, non può non essere mentitore, perché reale, perché “non artistico”, perché “non linguistico”. Nell’ultimo lavoro per il Mega Zine di LuxFlux dal titolo: “in Una poiché fredda,”, il vero si fa insensato, nelle maglie di un software creato per tentare una comunicazione tra due realtà, come vedremo (in rete).

L’attribuzione morale più alta, in un mondo e tra umanità dubbiose del proprio stesso esistere, viene riassegnata all’arte, cioè alla scelta percettiva soggettiva dell’artista di forma e mezzo (suo modo d’uso).

Già si sapeva? Si risaprà di nuovo.

“Posso accettare la risposte ai miei interrogativi?” “No perché non esiste una risposta al nulla”.

“Antworten” 2001 (risposte), l'immagine di una bocca videoproiettata che accompagnata da una scritta ripete di continuo se stessa, indaga l’impossibilità della comunicazione.

Siccome non c’è risposta, poiché la risposta sarebbe fine della comunicazione, allora c’è un’incitazione a continuare parossisticamente a porre la domanda.

E’ inquietante questo accettare solo l’interrogarsi, ed avviene perché la risposta non sembra mai vera.

Siccome la risposta è una realtà, attende continuamente una sua traduzione in un “altro” linguaggio, in un’altra opera.

Se cambi la domanda: avviene la comunicazione?, in: come avviene la comunicazione?, allora questa coincide col fare l’opera, e dunque la tua esistenza è connessa a questo interrogativo.

Qui l’avanguardia, la piccola schiera di artisti e critici della costellazione Hübner & Co., è un drappello che sta ancorato al reale.

Si manifesta la vita, ma l’arte è il reale.

La vita scorre, ma nel momento in cui entra nell’archivio della memoria non è più vita.

Invece l’opera dell’artista, in quanto fissa arbitrariamente, cioè con un sistema di segni ogni volta inventato, il flusso altrimenti effimero ed immemorabile del vissuto o della cosiddetta realtà, che morirebbe, l’opera d’arte dicevo o linguistica consente una vitalità perpetua in quanto entra nella memoria o nell’archivio della memoria inglobata e trasmutata in quel sistema di segni o concettuale che è per sempre pulsante.

La creazione è in questo senso storia.

La cosa da dirsi è che in effetti ci sono tutte le condizioni per essere inquieti nel mondo: e proprio a proposito di soggetto e alterità, rigenera.

Continuamente per la Hübner la questione si ripone: ”Come anche nella vita ti chiedi il perché di un evento all’interno di una costellazione: ma a che cosa sia la costellazione è impossibile rispondere”.

Arriviamo al punto: sei artista o caporale, Regina Hübner?

Cioè la vita, come l’arte è di tutti o non è ?

Mi sembra che Regina Hübner, col ricondurre continuamente, delicatamente o con forza in ogni opera, nella struttura simbolica o effimera visuale un dato o elemento “affettuoso”, nel senso di appiglio al quotidiano vissuto, faccia una ulteriore affermazione di un nuovo statuto dell’arte: quello ”testimoniale”, che incorpora e nasconde in sé l’antico statuto etico dell’arte.

Vediamoli i tratti di questo nuovo/antico statuto.

L’ elemento microaffettivo, come in “Göttermilch” dove il continuo spaesante della luce lunare onnidiffusa viene “tagliato” dal profilo di un’icona riconoscibile,

La simulazione che è però linguaggio, non copia del reale, come negli pseudo ritratti di Anonymus dedicated to Vally, necessità del nascondimento, mentre cerca la rivelazione,

La leggerezza peculiarità di questo nuovo statuto e di questa nuova etica, diversamente dai grandi maestri di un’altra generazione come Mauri che non ha né può avere l’individuo, o come Boltansky, che ha solo tracce oggettuali, residui.

L’ individualità allo specchio quella di chi si guarda mentre si guarda all’infinito, ma anche teme quello che vede e pur tuttavia guarda.

L’ interpolazione dei segni creati con segni / memoria archetipi o primari, almeno quelli che si ipotizzano tali.

Una nenia nella lingua madre, una stella, un ritmo di respiro, un contorno di una mano, una piuma, una luna, un profilo, il canto di un merlo Regina Hübner li fa entrare nei suoi complessi e tecnologici apparati e messe in scena, proprio per catturarci dal profondo: questo precipitare del quotidiano nell’arte, è come il desiderio di Vincent van Gogh nel dipingere La Berceuse, quadro nel quale ritrasse la moglie del postino Roulin in atto di dondolare una culla invisibile contro uno sfondo tappezzato di fiori immaginari. Pensando alla vita monotona e pericolosa dei marinai, Vincent (che si ispirava a un romanzo di Pierre Loti sui pescatori d’Islanda) si era proposto di creare un quadro che, appeso alla parete della cabina del battello, riportasse loro il ricordo della culla e il canto della ninna nanna.

Vincent lo racconta al fratello Theo nella lettera da Saint Rémy del 25 maggio 1889.

Nel 1999 con “Körper” Regina Hübner mette in scena in un video bianco e nero una stella, un corpo luminoso che fluttua e sale e scende orizzontalmente e verticalmente, con moto lento ed esattamente col ritmo del respiro di una persona che così , nel guardarla, si mette in relazione forse verso l’infinito.

 

 

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i “Testimonial” è termine il cui mode d’emploie teorico e pragmatico è oggetto di una libro in corso di pubblicazione di Domenico Scudero, che peraltro lo ha “creato” criticamente.


Simonetta Lux

 

Die testimonials und

ihre Freundin und Königin.

 

Was macht aus einem Menschen ein Mensch?

Geschichte = Erinnerung, sagen die Autoren der hier folgenden Aufsätze.

Geschichte = Erinnerung = künstlerische Schöpfung = Kunst, würde ich lieber sagen, nachdem ich mich im Laufe meiner fabelhaften dreißig Jahre davon überzeugt habe, dass keine Geschichte möglich ist, wenn nicht als strukturierte und in ihrer „Erscheinung“ willkürlich geregelte Ausdrucksweise, welche auch immer die Form-Materie der ausgewählten Ausdrucksweise sei, Schrift, Handlung, Kuratorentätigkeit oder Wort.

Deshalb lehne ich fast alle meine Schriften ab, außer einer vielleicht, die über Pino Pascali mit dem Titel „Tutta la storia è da creare“ (= Die gesamte Geschichte muss erschaffen werden).

Nach einer pathetischen Intuition dieser Art, vielleicht auf Argans Vorstellung von Identität der Geschichte und der Kritik übertragen, heute neu überdacht, ja neu erlebt in der Welt der politischen Geschichte durch den Erfolg der Biografien der großen Persönlichkeiten, die zu - der Filmbranche und dem üblichen Auftreten – fremden Welten gehören, wie die Politik oder die Ökonomie oder die Wissenschaft und in der Welt der Kunst durch aufsehenerregenden Handlungen, wie die Behauptung der Mehrdeutigkeit und Austauschbarkeit des Status Künstler/Kurator, entwickelt sich das Leben und das kreativ-kognitive Handeln der Königin der testimonials, Regina Hübner.

Ihre subtile, existenzielle und mentale, physische und begriffliche Unruhe, ihr kontinuierliches Schwanken zwischen Körper und Seele, zwischen Natur und Kultur, manifestieren sich in Werken, Zeichen, immateriellen Konstruktionen, die den dunklen Ort der Mehrdeutigkeit von wahr/falsch, real/künstlich, authentisch/nicht authentisch erhellen, seit nicht langer Zeit von einer kleinen, nicht „in Agonie liegenden“ Schar an Avantgarde-Kritikern und –künstlern belebt: den „testimonials“.

Wir haben bereits die Schlüsselwörter angeführt, aus denen „die gesamte Geschichte“, die von der Kunst erschaffen wird, entsteht: Erinnerung natürlich, Handlung, Ausdrucksweise, Willkürlichkeit, Unruhe, Testimonial[i], Immaterialität.

Andere zeigen darüberhinaus die von uns allen (leider) geteilte Meinung über die Kontexte, in denen die Künstlerin tätig ist: der Krieg und seine Pseudo-Bilder (wer weiß je, ob dieses herrliche Licht, das explodiert und die schlafende Stadt erhellt, eine Live-Bombe oder eine mit Zeitunterschied ist, Beweis einer Übung oder eines wirklichen Angriffs?), das Zimmer und das Haus leer, in dessen Einsamkeit sogar das Auftreten von Freunden oder Verwandten unerklärlich erscheinen, der Bereich der visuellen Fragmentierung, in dem sensible Aufmerksamkeiten, die zu sein scheinen, die Emphase und Fragment vorziehen, den Körper in den Prozessen der Selbstbeobachtung und Hervorhebung von Organen in fühlender oder wahrnehmender Phase.

Ein neues Prinzip der Deformation.

Daher die Zentralität der Frage des Kommunizierens in den gelebtesten Formen der Schwierigkeit, der Hemmung, der Störung im Werk von Regina Hübner; und der Wahrnehmungshandlung, in der heute vorherrschenden Tatsache der Unterbrechung, des pixel-liminalen Stresses: die Sinnlichkeit, das Fühlen also, da wir uns im Reich der Technik befinden.

Und damit sind wir bei der Anfangsfrage angelangt: Was macht aus einem Menschen ein Mensch?

Was fühlt oder sieht oder zeigt er, wirklich zu denken?

Was geschieht zwischen den beiden Extremen, der Natur und der Kultur, des Organischen und der Informatik oder Post-Technologie?

Technologien des Visuellen, der Wahrnehmung oder des Blickes haben vielleicht unserer Empfindsamkeit unbekannte Welten offenbart.

Aber wie groß ist der Bereich des Unerforschten, wie groß die Sphäre der Unsichtbarkeit im Gegensatz zum synthetischen Akt der Unruhe, der dem Menschen eigen ist?

Was ist das Wichtigste, was nicht offenbart wird?

Regina Hübner lebt und handelt im Fraglichen, das sich wie immer ohne Antwort offenbart, indem sie die Pseudo-Supermacht der neuen Medien herausfordert.

Die Medien, die Sinne.

Die Herausforderung ist ein „inadäquater“ Gebrauch, ein „mode d’emploi“ an Unter- oder Überakzentuierung der in ihnen enthaltenen Fähigkeiten, oder auch eine „nicht maßstabsgetreue“ Erforschung des perzeptiven Akts – der Blick, der Gedanke – oder des Objekts der Perzeption (sogar mit einem Spiel an spiegelnder Vervielfältigung, aufgrund derer das Objekt beobachtet wird, während es wahrnimmt, während es spricht, denkt oder zuhört).

Hier ist die verlangsamte Aufnahme der Portraits ihrer letzten Arbeit, Anonymus dedicated to Vally, in der jeder der Freunde „fremd“ wird, ein Portrait des Geheimnisvollen.

In der Tat sagt Hübner in Anonymus dedicated to Vally zu jedem ihrer Freunde/Charaktere: „sag mir“. Sie sagen, aber Hübner erlegt ihnen auf, dass das, was sie sagen, nie wahrnehmbar sein wird (es wird rückwärts aufgenommen in ihrer verlangsamten Lebhaftigkeit ablaufen; es wird in eigenen Bildern auf schwarzem Hintergrund gedruckt werden, aber nicht mit denen, die es gesagt haben, verbunden).

Die Spaltung zwischen dem Autor und seinem Werk, geschieht von Anfang an, sodass die Sequenz: mentale Verarbeitung/Kreation der Botschaft/fotografische Aufnahme/Belebung der physiognomischen Sequenzen des Sprechens/ sich aus getrennten, nicht kommunizierenden Sektoren zusammensetzt.

Warum inszeniert Regina Hübner all diese Hindernisse der Kommunikation (die Unkenntlichkeit, das Nichtverstehen des Sprechens, etc.)?

All das ist nichts anderes als das Zur-Schau-stellen des Zeichensystems, welches das Kunstwerk ist, das Symbolische verstanden als perzeptive und mentale Konstruktion der Wirklichkeit.

Von einer ihrer Freundinnen hatte sie nie die große Zuneigung verstanden, aber auch jetzt nimmt sie sie nicht wahr (obwohl sie davon weiß).

Es gibt eigentlich keine sich in einer Physiognomie, in einem Körper ausbreitenden „Inhalte“, „Sinn“, sondern eventuell die Zuerkennung der „Symbolhaftigkeit“ vonseiten des rezipierenden Subjekts auf das rezipierte Subjekt: das heißt die Transformation des Realen („handelnder“ Körper oder Physiognomie) in „Zeichen/Symbol“.

Auf diese Weise – unter ihrem eigenen autogenen Druck zur Hinterfragung der Möglichkeit der Sinninterpretation – agiert Regina Hübner wahrnehmend gegenüber dem Körper/der Person, gegenüber dem Anderen: die Anderen, die an und für sich nichts „bedeuten“, so ist es Regina, die bedeutet und „das absolute Bedeuten“ verwirklicht.

Es gibt keine „Menschen“ hinter dem Sprechen, Handeln, körperlichen Ausdrücken. Die willkürliche Beziehung „Signifikant/Signifikat“ bekräftigend, erklärt sie jede Rhetorik, jeden Akzent, jede individuelle Identifikation für ungültig.

Das Individuum, das Subjekt, muss ein Lügner sein, weil real, weil „nicht künstlerisch“, weil „nicht linguistisch“. In der letzten Arbeit für das Mega Zine von LuxFlux mit dem Titel: „in Una poiché fredda,“, wird die Wahrheit unsinnig, in den Elementen einer Software, die dazu erstellt wurde, eine Kommunikation zwischen zwei Wirklichkeiten zu versuchen, wie wir (im Internet) sehen werden.

Die höchste moralische Zuerkennung in einer Welt und zwischen zweifelhaften Menschlichkeiten des eigenen Existierens, wird der Kunst zugeordnet, das heißt der subjektiven, perzeptiven Auswahl von Form und Mittel (seiner Gebrauchsweise).

Wusste man das bereits? Man wird es erneut wissen.

„Kann ich die Antworten auf meine Fragestellungen akzeptieren?“ „Nein, denn es gibt keine Antworten auf das Nichts.“

„Antworten“ 2001, das Bild eines videoprojizierten sprechenden Mundes, der, begleitet von einer rasch ablaufenden und daher unlesbaren Schrift ständig sich selbst wiederholt, erforscht die Unmöglichkeit der Kommunikation.

Da es keine Antwort gibt, weil die Antwort das Ende der Kommunikation wäre, gibt es also einen Antrieb, verstärkt weiterzumachen, die Frage zu stellen.

Dieses Akzeptieren einzig und allein des Sichfragens ist beunruhigend, und es geschieht, weil die Antwort nie wahr erscheint.

Da die Antwort eine Tatsache ist, erwartet sie ständig ihre Übersetzung in eine „andere“ Sprache, in ein anderes Werk.

Wenn du die Frage: Erfolgt die Kommunikation? in: Wie erfolgt die Kommunikation? umänderst, dann trifft diese mit der Erstellung des Werks zusammen und deine Existenz ist daher mit dieser Fragestellung verbunden.

Da ist die Avantgarde, die kleine Schar an Künstlern und Kritikern der Konstellation Hübner&Co, eine Gruppe, die in der Wirklichkeit verankert ist.

Das Leben manifestiert sich, aber die Kunst ist das Wirkliche.

Das Leben vergeht, aber in dem Moment, in dem es ins Archiv des Lebens eintritt, ist es nicht mehr Leben.

Das Werk des Künstlers hingegen, da es willkürlich, das heißt mit einem Zeichensystem, das jedes Mal erfunden wird, den sonst vergänglichen und vergessenen Verlauf des Erlebten festhält oder die sogenannte Realität, die sterben würde, das Kunstwerk, sagte ich, oder das sprachliche Werk, erlaubt eine ewige Vitalität, dadurch dass es in die Erinnerung oder das in jenes Zeichen- oder Begriffssystem eingegliederte und verlegte Archiv der Erinnerungen eintritt, das immer pulsiert.

Der Schaffungsprozess ist in diesem Sinn Geschichte.

Man muss sich sagen, dass alle Bedingungen dafür vorhanden sind, um auf der Welt unruhig zu sein: eben in Bezug auf Subjekt und Veränderlichkeit, erwacht er zu neuem Leben.

Kontinuierlich stellt sich die Frage für Hübner aufs Neue: „Wie auch im Leben fragst du dich über das Warum eines Ereignisses im Inneren einer Konstellation: aber was die Konstellation sei, ist unmöglich zu beantworten.“

Kommen wir auf den Punkt: Bist du Künstlerin oder Korporal[ii], Regina Hübner?

Das heißt, gehört das Leben, wie die Kunst, allen oder nicht?

Es scheint mir, dass Regina Hübner mit dem kontinuierlichen, sanften oder kräftigen Zurückführen - eines Begriffes oder eines „liebevollen“ Elements im Sinn von Angriff auf das alltäglich Erlebte - auf ihre symbolische Struktur oder die vergängliche Sicht, den neuen Status der Kunst erneut bestätigt: den „bezeugenden“, der in sich das antike ethische Statut der Kunst einbindet und verbirgt.

Sehen wir uns die Charakteristiken dieses neuen/antiken Status an.

Das mikroaffektive Element, wie in Göttermilch, wo die ständige Disorientierung des überall verbreiteten Mondlichts vom Profil eines erkennbaren Zeichens „durchschnitten“ wird.

Die Simulation, die jedoch Ausdrucksweise ist, nicht Kopie des Realen, wie in den Pseudo-Portraits von Anonymus dedicated to Vally, Notwendigkeit des Verbergens, während sie die Offenbarung sucht.

Die Leichtigkeit, Besonderheit dieses neuen Status und dieser neuen Ethik, anders als die großen Meister einer anderen Generation wie Mauri, der kein Individuum hat noch haben kann, oder wie Boltansky, bei dem es nur gegenständliche Spuren, Reste, gibt.

Die Individualität im Spiegel, jene dessen, der sich betrachtet, während er sich bis ins Unendliche betrachtet, aber auch fürchtet, was er sieht und trotzdem betrachtet.

Die Interpolation der mit Zeichen kreierten Zeichen/Erinnerung, Archetypen oder Grundlagen, zumindest jene, die man als solche vermutet.

Ein Wiegenlied in der Muttersprache, ein Stern, ein Atemrhythmus, die Kontur einer Hand, eine Feder, ein Mond, ein Profil, der Gesang einer Amsel, Regina Hübner lässt sie in ihre komplexen und technologischen Apparate und Inszenierungen eintreten, eigentlich um uns aus der Tiefe einzufangen: dieses Hereinstürzen des Alltäglichen in die Kunst ist wie der Wunsch Vincent van Goghs, als er La Berceuse malt, Gemälde, auf dem er die Frau des Briefträgers Roulin portraitiert, als sie gerade dabei ist, vor einem imaginären Hintergrund voller Blumen eine unsichtbare Wiege zu schaukeln. Als er an das monotone und gefährliche Leben der Matrosen dachte, nahm sich Vincent (der sich am Roman von Pierre Loti über die isländischen Fischer inspirierte) vor, ein Gemälde zu schaffen, das, aufgehängt an die Wand einer Schiffskabine, ihnen die Erinnerung der Wiege und den Gesang eines Schlafliedes wiederbringen könnte.

Vincent erzählt das seinem Bruder Theo im Brief aus Saint Rémy vom 25. Mai 1889.

1999, mit „Körper“, inszeniert Regina Hübner in einem Schwarzweiß-Video einen Stern, einen wogenden Lichtkörper, der sich horizontal und vertikal langsam hinauf- und hinunterbewegt, exakt im Atemrhythmus einer Person, die sich so vielleicht beim Betrachten in Verbindung zum Unendlichen setzt.

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[i] “Testimonial” ist ein Terminus, dessen theoretischer und pragmatischer mode d’emploi Objekt eines im Erscheinen befindlichen Buches von Domenico Scudero ist, der ihn außerdem kunstkritisch “kreiert” hat.

[ii] Analogie zum Filmtitel „Siamo uomini o caporali?“ von Camillo Mastrocinque mit Antonio de Curtis, besser bekannt als Totò (1955).

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